Di Davide Vanni
Oggi non ci sono le solite parole nell’aria, non si parla del problema Berlusconi, né della Siria, né di calcio…di: “tanto sono tutti uguali”, di: “tanto è sempre così”, di: “alla fine non serve a niente”.
Oggi si fanno cose chiare e semplici. Si prende uno spazio delimitato e ci si dedica a quello spazio con il sudore della fronte, le mani, le braccia e tutto il corpo.
Oggi non ci sono schermi, non c’è pubblico, non ci sono platee.
Oggi si va tutti in una stessa direzione finchè il lavoro non è finito, finchè il tutto, per quanto piccolo sia, non è risolto.
Oggi non si parla a vanvera senza conoscere il problema, non si cercano soluzioni raffazzonate per una delimitazione provvisoria dell’urgenza, non si agisce di pressappoco.
Oggi si procede alla maniera di Manlio Rossi-Doria, dello stercoraro, delle termiti, delle api, dei bambini che non rinunciano mai alla scoperta.
Oggi non si sopravvive più o meno.
Oggi si vive con il cuore nella natura.
Oggi si vendemmia da Michele.
Ricordo l’ultima volta che ho raccolto dei grappoli d’uva dal vigneto.
Il vigneto era quello di zio Piero e io ero quello di trent’anni fa, un bambino di 8 anni, con la voglia di giocare tra i filari e mettere in bocca un acino dopo l’altro, con la voglia di farla finita alla svelta per tornare a casa, con il fastidio degli insetti e delle mani appiccicose. Ricordo che una delle api che svolazzava vicino alle mie mani decise di pungermi. Ricordo forse che iniziai a piangere o meglio a lamentarmi e che zia Rina mi mise una moneta da 5 lire, quella col delfino stampato, dove l’ape mi aveva punto. Ricordo una strana sensazione come se quella moneta la sentissi in bocca, ne sentissi il sapore metallico. Ricordo che la mano non si gonfiò e che il dolore passò velocemente.
Oggi non vedo nessuna ape, solo moscerini e tignole. Il sole inizia già a scaldare e dalla terra sale una fastidiosa umidità.
Oggi sono pieno di entusiasmo per un gesto. Sono con i piedi nel verde, con le mani tra la natura riconciliata nell’uomo, con i pensieri del bambino di 8 anni. Oggi mi chiedo dove sia il mio posto in questo divenire, se nella concretezza del vendemmiare, nella potatura, nei travasi, nella bottiglia, nel bicchiere, nel fegato, nella sbronza, nelle sfrenatezze verbali della sbronza, nella semplicità di una fotografia al momento della fioritura della vite, come a ricercare il punto estremo della felicità che rappresenta il mondo del vino.
Continuo a cercare una risposta mentre parlo con il mio compagno al di là del filare. Lo vedo muoversi asimmetrico, tagliare dove io non taglio, abbassarsi mentre io mi rialzo, tergersi il sudore mentre io bevo. Continuo a pensarci mentre le mani scostano i tralci e le forbici tagliano i grappoli di uva gialla. Ci penso commosso mentre osservo l’uva testarda e restia che è cresciuta tra un tralcio e l’altro tutt’intorno ai fili di ferro, a testa in giù contro le leggi della gravità, sorretta da una cocciutaggine naturale.
E ci penso anche quando mi ferisco il dito con le lame taglienti mentre succhio il sangue alla luce del sole finchè una voce dice: “Fermi! Fermi, si è rotta la pressa!”
Michele è seduto, con le mani sulle ginocchia. Qualcuno sta armeggiando dentro le arterie e i neuroni della pressatrice ma tutto se ne resta fermo, in attesa di vita. La tecnologia ha fermato la vendemmia, l’uomo sta cercando una soluzione e la soluzione è prontezza e spontaneità. E’ immediatezza e azione, chirurgia e trapianto. È un’immagine che va a stimolare la fantasia del bambino di 8 anni e commuove la vita dell’uomo più grande.
Armato di flessibile, il Momi, con tutto il merito di guadagnarsi una dedica nelle future etichette dell’azienda, libera il motore dal corpo della propria betoniera e lo dona alla vendemmia.
La pressatrice con il cuore di betoniera ricomincia così a vivere e a pressare l’uva e ad accompagnarci nel suo ritmo riconquistato al nostro ritmo umano di raccoglitori.
Continuo a tagliare, a colmare di uva la cassetta, a tergermi il sudore, a bere, a parlare, a scostare i tralci. Continuo con la consapevolezza di trovarmi sulla terra in un piccolo spazio custodito e protetto ogni giorno dell’anno. Continuo con la piccolezza di sentirmi come fossi uno solo di questi 365 giorni e con la gioia di esserlo. Continuo con un sorriso che scappa fuori e mostra i denti all’aria aperta e si fa parola:
“È forse questo, in fondo, il punto estremo della felicità nel mondo del vino?”